RETURN TO MONKEY ISLAND: perchè il gioco ha deluso le aspettative
Damiano Gerli aveva in mente un gioco diverso da quello che aveva in mente Ron Gilbert. Qui ci spiega perché in questo caso era meglio il suo.
Ron Gilbert ci ha regalato un sequel della serie videoludica a cui ha dato i natali: Return To Monkey Island.
Mentre i fan più radicali si sono scaricati il gioco al day one e stanno giocando la quattordicesima run, l’Omone e Damiano Gerli si prendono mezz’oretta di tempo per spiegarvi perché i giocatori più fomentati dovrebbero raffreddarsi un attimino.
La storia dell’aspirante pirata Guybrush Threepwood, ispirata anche dal libro di Tim Powers, non è che uno dei tanti successi di una delle più grandi società di videogiochi di tutti i tempi, LucasArts; una società che i giocatori più giovani potrebbero addirittura non conoscere visto che Disney la chiuse dopo aver ingoiato George Lucas per intero e sputato fuori tutto ciò che non riguardava Star Wars.
Fra le cose messe da parte, Topolino aveva scartato i giochi di Monkey Island che, almeno in origine, avevano fornito un’alternativa divertente ai giochi della concorrente Sierra non solo perché erano molto meno punitivi, ma anche perché portarono del sano divertimento piratesco nel mondo dei videogiochi.
Return To Monkey Island è quindi sicuramente interessante a prescindere, e intriga già dal modo in cui è stato segretamente sviluppato per due anni interi nella più assoluta trollaggine e per il suo stile grafico che ha fatto saltare la parrucca dalla testa dei professoroni, ma siamo sicuri che sia un gioco così valido? Siamo sicuri che Ron abbia veramente tenuto alta quella bandiera che aveva deciso di mollare nel lontano 1991?
Bene, l’Omone e Damiano Gerli sono qui per parlarne con calma, dignità e classe.
No, davvero. A Ron Gilbert gli vogliamo bene e nessun sviluppatore originale e nessun sedicente esperto italiano di videogiochi è stato maltrattato durante le riprese di questa live.

AAARRR!